sezione I Tra Silenzio e Parole
pag. 18
Della
mia storia frammenti di luce
in corolle di vento e lo sgomento
di frane.
Di me stessa solo una traccia
inafferrabile riflesso d'acqua.
3. pag. 21
Vorrei
tra queste nebbie addormentarmi
come la terra che si spoglia d'erbe
quando novembre affida ai crisantemi
il triste accomiatarsi dalle ombre
se la stagione che vorremmo viva
si perde ormai in remote lontananze.
Ma il giorno
mi costringe alla veglia, all'erosione
lenta del ricordo di cose andate
di mete mai raggiunte, di illusioni
inseguite sugli argini di un sogno
fino a tardi. E se
cerca sollevarmi la certezza
di un ignoto recondito guadagno,
guardo sgomenta la mia mano vuota.
6. pag. 24
La trasparenza
azzurra dei giaggioli
sorride evanescenze di sole sopra ai borri
la rondine appena trasmigrata è freccia
nera tra il rinnovato argento degli ulivi.
Struggente il Maggio se ragnatele di memoria
insistono su altre primavere quando
ogni soglia si apriva a possibili cammini
e la vita era solo una promessa.
Mia stagione ormai china su presagi
d'ombra perché non ti rassegni al passo
quieto dell'età piena, quando ogni tempesta
è solo una reliquia di passato?
E' già alle spalle la prima fioritura
altre messi chiede la tua falce
altre lusinghe l'ora.
Non sia solo lenta migrazione nel ricordo
questo richiamo che alita la terra,
la vita è un'occasione.
7. pag. 25
Portare
nella vita uno spirito inquieto
è navigare lungo il tempo e cercare
una meta che sempre si rinnova.
Vivere a volte l'ansietà del marinaio
che sente avvicinarsi la tempesta:
quanti porti lasciati rivisita il pensiero
e quanti ormeggi sciolti con gioia
rimpiange la memoria quando l'imminenza
della morte attenua la sete
di terre sempre nuove.
Ma se le onde distendono le crespe
l'orizzonte si veste di miraggi
e carezze d'infinito consolano
di un'effimera presenza: scioglie
le vele al vento allora la mia nave.
9. pag. 27
Chiedere
il futuro a oracoli di foglie
al volo radente di un piccione
al silenzio che preme sui lati
questo viottolo stretto
diretto non so dove.
Illusioni bruciate nell'aria come folgori
scaglie di vita naufragate nel ricordo
sugheri alla deriva
alghe lasciate a imputridire
sulla rena assieme a scarpe rotte.
Ci vorrebbero scandagli umani
più profondi, sonde spaziali
o la bacchetta di fate medioevali
per rinascere ancora dalle scorie.
sezione II Geografie
Dalle Balze di Volterra pag. 43
Fossi
questa pietra ruvida, fredda
In misterioso equilibrio tra abissi
di spazio illimitato e di tempo -
fossi questa valle aperta, dissanguata
dal lento dilavare della sabbia
ma ancora verde di ulivi e di ginestra -
fossi questo cielo intatto, indifferente
al profondo silenzio che si leva
da questi colli eterni:
questo infinito non mi smarrirebbe.
Sovana pag. 44
La luce
che in alto attraversa le foglie
si tinge di verde non riesce a bagnare
il sentiero affogato in questa gola
ed è già notte.
Cadono ombre sul sonno degli etruschi
il muschio afferra ogni forma e la sfigura.
S'apre un' accesso il vento
sibila come il grido di chi è caduto
in baratri di tempo
il mistero è un muro d'acqua che cancella
cadendo a valle, ogni misura d'uomo
e non mi resta che computare gli anni
negli strati verdeazzurri dell'argilla.
Tra queste spoglie
mi ricongiungo a un flusso
che ha preceduto e seguirà il mio tempo:
storia cui appartengo
col mio urlo di vento
imprigionato in gola.
La casa di Serena pag. 46
Ai margini
dell'aia abbandonata
all'ingordigia del rovo e dell'ortica
sta il carro, l'asse affogata nel pantano.
Oltre un muro di querce, giù dal dirupo
un Appennino aspro spiomba sul mare:
terra di nessuno questa zolla magra
lavorata dal vento e dalla pioggia
indocile e selvaggia come un falco.
Solo un capanno, immagine di pietra,
ci riconduce un canto di pastori
e un pianto rassegnato di miseria.
Triste è la voce, più triste ancora il pianto
quando diventa un'eco di memorie
una pagina di storia che si chiude:
anch'io dimenticato carro.
Cuma: un fanum pag. 48
Davvero
abita un dio sopra la cima
di questo colle se il cuore prende
all'improvviso Il volo e smarrisce
la memoria del suo tempo nell'arco
d'allori che accompagnano il sentiero.
Fende la roccia il cielo sull'abisso
dei secoli, l'antica meridiana
fila a ritroso l'ora ad ogni passo
che incerto sfiora l'ocra della terra:
un profumo di muschi già precede
il lento aprirsi dell'anima agli auspici.
Ancora stride il vento costretto
nei canali che rugano la pietra
e si contrae nel taglio delle volte:
ansima irato in cerca della foglia
cui è dato il potere di sanare.
Ripete all'infinito il cavo suolo
l'eco dei passi nei percorsi oscuri
di grotte cieche: occhi cavi a spiare
emozioni dai fianchi del cunicolo
che affonda nel cuore della roccia.
Tra riverberi d'ombra un bagliore
laggiù in fondo profila una sagoma
umana che alta si leva su tutte:
dilaga nel silenzio una tensione
di grida senza voci e vibrazioni
d'impalpabili presenze fuggono,
quasi uno sciamare di serpenti
quando il fuoco insidia la boscaglia.
Contratto il volto da un'antica ira
che accartoccia le rughe in dense pieghe
occhi di drago, corpo di falena
la profetessa chiusa nella pietra
lotta fremente contro il giogo ancora
che la fa schiava: ristagna nell'antro
inquietante un odore di sangue.
T'apro l'anima mia - sacra compagna-
accogli la preghiera, t'appartenga
il mio cuore perché possa dare voce
al tuo pensiero e sciogliere il mistero
di un fato che ti costringe prigioniera
mentre il tuo dio in alto sulla rupe
gode nel sole onore e fama.
Ma quale voce avrebbe se tu avessi
serrato le labbra, quale destino
lo spirito avulso dalla carne
quale sorte l'armonia senza la forma
l'arte senza il suo mezzo d'espressione?
Tu Sibilla ritorna all'antro antico
e sia il tuo grido svegliarsi
alla coscienza che Apollo nulla può
se non gli presta voce la compagna.
Mostra il tuo volto ancora all'immortale
fuoco degli altari, sfarina con lo sguardo
gli anni di menzogna di un dio
che da solo vorrebbe dominare.
Gorgoni e Sfingi chiama a raccolta
dalle viscere oscure della terra
perché il terrore sferzi gli animi
aggiogati alla ragione e diventi
impossibile rinnegare la carne.
Profondamente incidi sulla foglia
che solo lo spazio evoca la forma
e l'ombra manca solo ai trapassati.
sezione III Venti poesie d'amore
5. pag.59
Tu, occhi
di giada cuore vagabondo
dove corri quando divampa il sole
sopra i monti e la campagna tace
appena scossa da un brivido di nebbia?
Forse ritorni vento a levigare rocce
o forse mare.
Torni all'argento degli ulivi
all'onda lunga del grano
a cercare ricordi tra la calce
sogni acerbi sulle siepi di menta
e rosmarino, lontano mille anni
dal presente:
zingaro senza carro e senza meta.
7. pag. 61
E' l'alba,
la città assopita
si scuote dal torpore della festa:
un giorno limpido troverai al risveglio.
Ma a cosa il sole sfiora la mia soglia
e un impudente canto di cicala
sfida l'azzurro
se stride unghia sui vetri la tua assenza?
Forse la pioggia consolerebbe questa lunga
attesa limitando il passo, ma se ancora
s'abbatte la vampa d'agosto sui campi
di grano e insanguina il papavero rosso
i fianchi al sentiero
il profumo portato dalla brezza
non dà requie
e il silenzio brucia di nostalgia.
9. pag. 63
Sediamo
a fianco sul ciglio della notte
eppure non siamo più vicini di quelle cime
che sembrano sfiorarsi
solo se guardate da lontano.
Solitario in mezzo al prato
un albero bruciato dall'inverno
trattiene a sé le foglie: macchia gialla
nell'ombra precoce della sera.
Ecco guarda - vorrei gridare -
almeno può contare sul risveglio della stagione
l'albero, sulla terra feconda
sul ritorno degli uccelli.
Altro è il deserto che imprigiona
se il silenzio dilaga oltre ogni soglia
e mai t'offre un appiglio la salita
solo rovi che strinano la pelle.
Ma la voce rimane chiusa in gola;
non c'è remissione
per chi è scampato
all'inferno della croce.
11. pag. 65
Quando
la luce azzurra del mattino
insiste a disegnare ombre di rami
sugli accecanti muri delle case
la riflessione è solo qualche trave
che puntella una diga ormai minata.
Ritorna il desiderio inappagato
su ricordi di tempi già lontani
e la tua assenza ripropone l'eco
dell'antico deserto in cui mi persi.
Meglio lasciare i propri sogni intatti
che naufragare in vista della terra
la differenza chiedila a chi muore
nella luce di un limpido mattino.
14. pag. 68
Si infrange
la mia immagine nel biondo
liquido del boccale: tra la schiuma
cerco la traccia bianca delle labbra
( tua presenza remota e vicinissima
occhi ridenti e vivi)
a questo tavolo nudo d'osteria.
Davanti a me un compagno occasionale
recita una parte che mi annoia.
Svettiamo come torri solitarie
vegliandoci l'un l'altra da lontano
mentre il tempo incide sulle mura
la sua mappa di fitte fenditure.